mercoledì 27 maggio 2015

Mauro Praga - LA BIONDINA






LA BIONDINA

1.
Il sole entrava dall'ampio finestrone a inondare di luce lo studio vastissimo, dove Giacomo Burton lavorava, dall'alba al tramonto. Due delle grandi pareti erano coperte da grandi tavole di disegni, modelli di macchine; sulla terza, di contro al finestrone, era una sfilata di mensole chiare di larice, con tutte le fiale ed i vasi bianchi ed azzurri, piedi di minerali e di acidi, nella gamma allegra di colori che la chimica possiede. Qua e la, e negli angoli, sul pavimento, erano pezzi di macchine, e pile, e fornelli. Un terzo della stanza era occupato da due lunghe tavole da disegno poggianti su cavalletti altissimi: sulle tavole, cosparse di compassi e di regoli, spioveva una gran luce dall'ampia vetrata. Tutto, la dentro, era semplice, rigido, severo, ordinato; tutto, fuorché il breve spazio racchiuso dall'angolo a destra del finestrone, dove era un divano e due poltroncine  di tela russa con un'alta bordatura di azzurro fissata da borchiette d'oro: e, steso dinanzi ad essi, un rosso tappeto a fiorami oscuri; e, sulla parete, a coprire il bianco della muraglia, una stoffa drappeggiata con arte, che inquadrava una grande fotografia di donna racchiusa in una semplice cornice d'abete. Quell'angolo, come un salottino non ricco ma civettuolo, introdottosi quasi furtivo in quel tempio severo del lavoro, era Adelina che l'aveva voluto, che l'aveva imposto a suo marito.  ...    



























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